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La Turchia vuole attrarre nuovi investimenti stranieri
Per cercare di ridurre il deficit delle partite correnti che viaggia al 10% del Pil, il Governo islamico moderato di Recep Tayyip Erdogan ha spinto l'acceleratore sul decreto in materia di incentivi agli investimenti stranieri, entrato in vigore lo scorso 19 giugno.
I contenuti del pacchetto era stato presentato in anteprima agli imprenditori italiani partecipanti alla Missione Italia in Turchia di inizio maggio scorso ad Istanbul da parte di alcuni funzionari del ministero dell'Economia turco. Il piano di rilancio punta a ridurre la forte disparità nello sviluppo tra le varie aree del Paese, promuovere la creazione di distretti industriali sullo stile di quelli italiani e la produzione locale di beni ad alto contenuto tecnologico. Inoltre punta su una nuova combinazione di sgravi e sussidi che sono definiti in base allo sviluppo socioeconomico delle zone del Paese (raggruppate in sei distinte regioni) dove l'investimento è diretto, alla natura dell'investimento stesso (classificato secondo quattro categorie: generale, regionale, strategico, a grande scala) e al settore d'attività in esame (con alcuni comparti considerati prioritari e quindi destinatari di maggiori incentivi). Gli aiuti si articolano declinando tassi d'imposta sulle società tra il 2 e il 10%, riduzione sui contributi previdenziali per i datori di lavoro fino a 10 anni, facilitazioni sugli interessi e assegnazione di terreni statali.
Ma che cosa rappresenta oggi la Turchia per l'Italia? «La Turchia è un paese molto giovane, attualmente il più effervescente d'Europa, dove il senso del dinamismo si respira appena si atterra a Istanbul o a Smirne – dice Roberto Nicastro, direttore generale di Unicredit - Per noi la Turchia, dove UniCredit è presente con Yapi Kredi, la nostra joint venture con il gruppo Koç, è un paese importantissimo, abbiamo 10 milioni di clienti, un numero superiore a quelli dell'Italia. È un mercato di eccezionale rilevanza per l'export italiano, il più importante nell'area mediterranea, un enorme mercato di sbocco per le imprese dei Paesi dell'Ue e extra Ue. È un luogo molto attraente per investirvi, un paese che tra l'altro è ponte culturale ed economico verso le repubbliche dell'Asia Centrale», conclude Nicastro.
Opinione isolata? Non proprio. «Per l'Italia e per l'Europa - afferma Bruno Ermolli, presidente di Promos, azienda speciale della Camera di commercio di Milano per l'internazionalizzazione - la Turchia rappresenta uno sbocco e un passaggio privilegiato per i flussi commerciali e produttivi da e verso i Paesi del Mediterraneo, i Paesi del Sud Est Europa, la Russia, i Paesi del Medio Oriente e quelli dell'Asia Centrale. Sono oltre 900 le aziende italiane presenti in Turchia, non solo grandi contractor ma anche Pmi che forniscono un significativo contributo produttivo e tecnologico alla crescita del Paese. Questo spirito imprenditoriale e manageriale, che poggia sul modello socio-economico delle Pmi, ci accomuna e ci spinge a consolidare il percorso di crescita complementare delle nostre economie».
La modernizzazione del paese prosegue a tappe forzate anche in campo legislativo societario dove la Turchia ha varato un nuovo Codice commerciale. Con i suoi 1.535 articoli, il nuovo corpus economicus diventa la norma fondamentale del diritto societario del paese. Le principali novità riguardano: la disciplina societaria, dove si introduce la possibilità di costituire Gruppi di interesse economico; vengono disciplinate e semplificate le operazioni straordinarie, come fusioni e scissioni delle società; i diritti degli azionisti di minoranza sono rafforzati; nuove norme sono introdotte per i consigli di amministrazione e viene introdotta la società individuale.
(da Il Sole 24 Ore Online – 4 luglio 2012)
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